mercoledì 3 febbraio 2021

IL CUORE NEL POZZO ... ALTRA "SCOMODA" VERITÀ !!

La fiction venne trasmessa in Italia su Rai 1 il 6 ed il 7 febbraio 2005 in due puntate. 
Era la prima volta che la TV di stato italiana trasmetteva in prima serata un film che trattasse il dramma delle foibe, tant'è vero che Il cuore nel pozzo è noto per aver acceso diverse polemiche sull'interpretazione delle vicende di quel periodo.

Il 10 febbraio 2010 è stato replicato in prima serata su Rai 1 (IN VERSIONE RIDOTTA), per celebrare il Giorno del ricordo. 

Il giornale croato Rijeka Novi List ha commentato il film dicendo "si tratta del peggior film di propaganda mai realizzato [...] è un assalto alla storia da parte della destra italiana". 

Copia archiviata, su ilcuorenelpozzo.rai.it. URL consultato il 14 febbraio 2006 (archiviato dall'url originale il 27 dicembre 2005). 

Alcuni articoli inerenti al Film e alle Foibe: https://digilander.libero.it/lefoibe/fiction.htm 

"ovviamente" il FILM INTEGRALE È STATO CENSURATO, ma RINGRAZIAMO CON TUTTO IL CUORE, chi ha pubblicato sul canale YouTube il FILM diviso in vari spezzoni... per chi volesse vederlo questo è il link 


NOI NON DIMENTICHIAMO I NOSTRI FRATELLI 

martedì 2 febbraio 2021

LA RAI OSCURA "L'ALTRA" STORIA ... (PARTE SECONDA)

LE FOIBE NON ANDRANNO IN TV 
(di RENZO MARTINELLI regista del Film Porzus) 


Qualche anno fa ho girato un film che si intitolava “Porzus”. Raccontava una brutta storia, la peggiore fra quelle della resistenza italiana. Un gruppo di partigiani comunisti, su ordine della federazione del Partito comunista di Udine e su pressione del Nono korpus sloveno, quindi dei soldati di Ti-to, uccise ventidue partigiani di formazione cattolica della brigata Osoppo. Il film, di cui la Rai detiene i diritti, non è mai andato in onda e non è mai stato diffuso come home video, n motivo è che la Storia la scrive chi vince e siccome in Italia culturalmente hanno prevalso i comunisti, certi fatti non si possono raccontare. Sono diventati tabù. Per questo motivo, la richiesta del presidente della commissione parlamentare di vigilanza Mario Landolfi al presidente Rai Claudio Petruccioli di ricordare sulla tv di stato la tragedia delle foibe per la giornata della memoria del 10 febbraio è fatica sprecata.

È tabù raccontare agli italiani che in realtà di resistenze se ne sono combattute due e non una. Da una parte c’erano i partigiani di formazione cattolica, monarchica e azionista, che combattevano per costruire una democrazia di matrice occidentale o di ispirazione inglese. Dall’altra c’erano quelli, comunisti, che combattevano il nazisfascismo per costruire in ltalia una dittatura del proletariato sul modello jugoslavo. Il nemico quindi era comune, ma le finalità erano diametralmente opposte. Non a caso, da molti dei comunisti più duri e intransigenti la resistenza venne indicata come la rivoluzione tradita. Mai come nell’inverno del ‘45 i comunisti italiani sono stati vicini ad attuare ciò che Lenin teorizzava: una rivoluzione armata di popolo. Le condizioni erano ideali. Un governo inesistente, un popolo stremato e migliaia di comunisti armati fino ai capelli. Era l’occasione più propizia per conquistare il Paese. Per nostra fortuna, a Jalta decisero diversamente. Però i tabù sulla resistenza sono rimasti.
Riguardo alle foibe, la fiction tv “D cuore nel pozzo” è stata un’occasione mancata. Si racconta la storia senza mai nominare i comunisti. Limitandosi a chiamare genericamente gli slavi “aggressori” o “titini”, come se fossero dei canarini. Quando invece stavano compiendo un genocidio comandato. Inoltre, il protagonista della fiction è uno slavo a cui viene sottratto il figlio e che per vendetta attua una strage. In questo modo, si tende a giustificare questo personaggio. Dimenticando che quello delle foibe fu un genocidio sistematico programmato dalla Jugoslavia nei confronti delle popolazioni di confine.
Anche la strage di Porzus avvenne al confine con la Jugoslavia di Tito. Quella zona d’Italia ha pagato la vicinanza ad essa, ritrovandosi un partito comunista foltissimo, che coprì chi aveva compiuto l’eccidio. Tutti gli autori della strage furono condannati all’ergastolo in contumacia, perché prima del processo Togliatti li aveva fatti scappare in Jugoslavia. Non ci fu un giorno di galera per nessuno.
Viviamo in un tempo in cui quando si parla di memoria si pensa solo all’Olocausto nazista. Purtroppo, ci sono stati anche altri massacri, come i dieci e passa milioni di morti fatti da Stalin o il genocidio degli armeni per mano dei musulmani turchi. Parlarne non significa fare la conta dei morti, ma ricordare il motivo e il modo per cui sono stati uccisi, equivalenti a quello con cui sono stati sterminati gli ebrei. Escludo che la tv di stato dia spazio al ricordo delle foibe. Perché significherebbe dire agli italiani che fu stipulato un patto scellerato fra Tito e Togliatti, in base al quale i comunisti iugoslavi avrebbero aiutato il Pci a sconfiggere il fascismo e a installare una dittatura. In cambio, il Pci avrebbe ceduto parte del territorio italiano alla Jugoslavia. Si sarebbe chiamata Penecia Slovenska. Certo è curioso che in un’epoca mediatica in cui in tv passa di tutto, solo Porzus non venga trasmesso. L’unico a parlarne è stato Giampaolo Pansa in un capitolo del suo libro. Spero che un giorno nasca uno storico di formazione non comunista che sia in grado di riscrivere queste pagine. 

http://www.lefoibe.it/articoli.htm 



ECCIDIO DI PORZUS (PRIMA PARTE )

UNA STORIA VOLUTAMENTE DIMENTICATA ... 

Il 7 febbraio 1945, un gruppo di partigiani comunisti dei GAP ( Gruppi di Azione Patriottica), costituito da circa 100 persone, arrivò ad alcune malghe situate in una località del comune di Faedis, che nel dopoguerra venne chiamata Porzus, dal nome del paese vicino, in cui abitava il loro proprietario .
Il comandante era Mario Toffanin, detto “Giacco”, ex operaio iscritto al P.C.I. dal 1933, in stretti rapporti con i comunisti jugoslavi.
Il gruppo di case era sede di un comando locale della divisione Osoppo, formata dai cosiddetti “fazzoletti verdi” della Resistenza, tutti ex alpini: partigiani cattolici, azionisti e liberali.
I partigiani dei GAP arrivarono a gruppi, presentandosi come combattenti sbandati appartenenti ad altre unità della “Osoppo”. In una situazione divenuta confusa, Toffanin prese il controllo del territorio e fece arrivare da una località vicina il comandante della “Osoppo” locale, Francesco De Gregori (zio del cantautore ).
De Gregori venne ucciso quasi subito, gli altri 17 uomini – fra di loro Guido Pasolini, fratello minore del regista Pier Paolo – furono catturati e uccisi fra il 10 ed il 18 febbraio 1945.

La Slavia veneta nel 1944-45 : terreno di confronto – scontro ideologico
La Slavia veneta è quella regione collinare e montuosa del Friuli orientale, estesa fra Cividale del Friuli e i monti che sovrastano Caporetto.
Il trattato di Roma, firmato il 27 gennaio 1924 fra l’Italia e il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, aveva inserito nel territorio italiano ampie zone a maggioranza slava o “miste” in cui, nelle ultime fasi della guerra, erano presenti gruppi armati costituiti da uomini di etnia slovena, che rivendicavano quelle terre come parte di un futuro stato indipendente.
L’affinità ideologica fra sloveni e garibaldini alimentava il sospetto che questi ultimi volessero realizzare un’annessione di fatto, improponibile per gli osoviani.
Va ricordato che, alla fine del 1944, le Brigate Garibaldi avevano accettato, in seguito all’ordine del segretario del Partito Comunista italiano, Palmiro Togliatti, di obbedire all’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, con l’obiettivo di consegnare l’area della “Slavia” veneta ad un nuovo stato, la Jugoslavia, che si sarebbe formato dopo la guerra.*
Da un lato il Partito Comunista di Togliatti si presentava come partito nazionale italiano, dall’altro si riconosceva nella rivoluzione comunista, a cui aderivano i partigiani di Tito, per i quali invece “(…) ideologia e nazionalismo andavano perfettamente d’accordo, incluse le mire annessionistiche verso i territori italiani. ” 
Anche se, almeno formalmente, tutti i gruppi partigiani dell’Italia settentrionale dipendevano dal CLNA ( Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, costituito alla fine del 1943), la comunanza ideologica fra sloveni e garibaldini alimentava negli uomini della “Osoppo” il sospetto che questi ultimi volessero realizzare un’annessione di fatto.
Mentre le formazioni comuniste accusavano gli osovani di avere come primo scopo non la lotta ai nazifascisti, ma ai comunisti.
* Kardelj, capo delle forze di liberazione slovene e luogotenente di Tito aveva esplicitamente parlato di una “ comune presa di potere nella regione Giulia di comunisti italiani e sloveni”.
Porzus : l’epilogo fino al 2001
Anche se, dopo l’azione a Porzus, la relazione dei GAP, indirizzata alla Federazione Comunista di Udine e al Comando del IX Corpo Sloveno, sottolineava che l’azione era stata effettuata “col pieno consenso della Federazione del partito”, non è mai emerso con chiarezza quale fosse l’ordine preciso trasmesso ai GAP da parte del Partito Comunista di Udine, né cosa avessero eventualmente ordinato i comunisti sloveni, da cui dipendeva militarmente la Brigata Garibaldi della zona.
Fu la magistratura ordinaria ad occuparsi della strage, in seguito alla denuncia presentata il 23 giugno 1945 al procuratore del re di Udine dal Comando Divisioni Osoppo.
Il processo – gli imputati erano 41- ebbe inizio nell’ottobre 1951, presso la Corte d’assise di Lucca, dove era stato trasferito per “legittimo sospetto”. L’appello ebbe luogo a Firenze fra l’11 marzo e il 30 aprile 1954 e rese definitive
la sentenza, che condannava all’ergastolo Mario Toffanin,” Giacca”, insieme ai suoi luogotenenti; gli anni di reclusione inflitti erano in totale 700.
Ma tutti i colpevoli erano fuggiti, chi in Cecoslovacchia chi in Jugoslavia.
Successivamente, in seguito ad amnistia e indulto, le condanne all’ergastolo furono cancellate. 

“Giacca” fu graziato dal Presidente della Repubblica Pertini nel luglio 1978, ma rimase in Slovenia, dove morì il 22 gennaio 1999.
Nel 2001 Giovanni Padoan della “Garibaldi” e don Radento Bello, cappellano della “Osoppo” si incontrarono alle malghe di Porzus per una pubblica riconciliazione, ma il gesto non ebbe seguito. 

lunedì 1 febbraio 2021

FOIBE ... NOI INIZIAMO DA QUI!!

CON LA COMPLICITA' DI TUTTI 

Ricordo le migliaia e migliaia di uomini, donne, anziani e bambini, lasciati morire nel buio di una foiba, seppelliti vivi tra i morti. Perché si risparmiassero le pallottole. Ricordo maestri, preti, soldati, operai, studenti seviziati e uccisi dalle milizie comuniste jugoslave nelle scuole, in strada, in chiesa, in casa propria. Cadaveri disseminati senza pietà lungo tutto il confine nord-orientale d'Italia. Ricordo giovani donne torturate con tenaglie roventi, rinchiuse in gabbie di ferro, stuprate ed esposte al ludibrio degli uomini di Tito. Ricordo quei carnefici ancora impuniti, prosciolti dall'accusa di sterminio per aver operato in territorio "extranazionale" o mai neanche processati. Ricordo la disperazione dei 350 mila esuli italiani di Fiume, dell'Istria, della Dalmazia. Costretti ad abbandonare le loro case, le loro terre, i loro ricordi radicati nei secoli. Ricordo migliaia di persone scomparse nel nulla che l'Italia, l'Europa ed il mondo hanno fatto finta di dimenticare. Ricordo il silenzio degli storici di partito e l'omissione complice della scuola pubblica italiana, perché le giovani generazioni non sapessero, perché non ricordassero. Il 10 febbraio di ogni anno, nel "Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano - dalmata e delle vicende del confine orientale" io indosso il fiocco tricolore per tributare il mio riconoscimento a questi Figli d'Italia troppo a lungo dimenticati. Io ricordo. E tu? 

FOIBE: IL LUNGO ELENCO 

Foiba di Basovizza e Monrupino (Trieste) - Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati.
Foiba di Scadaicina sulla strada di Fiume.
Foiba di Podubbo - Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero.
Il Piccolo del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi - tra cui quello di una donna completamente nuda – non identificabili a causa della decomposizione.
Foiba di Drenchia - Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.
Abisso di Semich – "…Un'ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell'abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. Impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l'orrendo 1945 e dopo. Questa è stata fina delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla
disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…" (Testimonianza di Mons. Parentin - da La Voce Giuliana del 16.12.1980). 
Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale – "Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …"(G. Holzer 1946).
Foibe di Sesana e Orle - Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.
Foiba di Casserova sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.
Abisso di Semez - Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta - cento persone. Nel 1945 fu ancora "usato".
Foiba di Gropada - Sono recuperate cinque salme. " Il 12 maggio 1945furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella "alla nuca". Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari"
Foiba di Vifia Orizi - Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell'indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.
Foiba di Cernovizza (Pisino) - Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L'imboccatura della Foiba, nell'autunno del 1945, è stata fatta franare.
Foiba di Obrovo (Fiume) – È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.
Foiba di Raspo - Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime. 
Foiba di Brestovizza - Così narra la vicenda di una infoibata il "Giornale di Trieste" in data 14.08.1947. "Gli assassini l'avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta."
Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) - Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia [leggi] e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.
Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) - Vi furono gettate circa ottanta persone.
Capodistria - Le Foibe - Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell'Assemblea comunale di Capodistria: "Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell'interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona" 
Foiba di Vines - Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell'acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell'interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto. [leggi]
Cava di Bauxite di Gallignana - Recuperate dal 31 novembre 1943 all'8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute. Don Angelo Tarticchio nato nel 1907 a Gallesano d’Istria, parroco di Villa di Rovigno. Il 16 settembre 1943 - aveva trentasei anni - fu arrestato dai partigiani comunisti, malmenato ed ingiuriato insieme ad altri trenta dei suoi parrocchiani, e, dopo orribili sevizie, fu buttato nella foiba di Gallignana. Quando fu riesumato lo trovarono completamente nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa, i genitali tagliati e messi in bocca. 
Foiba di Terli - Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.
Foiba di Treghelizza - Recuperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Pucicchi - Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.
Foiba di Surani - Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.
Foiba di Cregli - Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.
Foiba di Cernizza - Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Vescovado - Scoperte sei salme di cui una identificata.
Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943 - 1945: Semi - Jurani - Gimino - Barbana - Abisso Bertarelli - Rozzo - Iadruichi.Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana
Foiba di San Salvaro.
Foiba Bertarelli (Pinguente) - Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.
Foiba di Gropada.
Foiba di San Lorenzo di Basovizza.
Foiba di Odolina - Vicino Bacia, stilla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.
Foiba di Beca - Nei pressi di Cosina.
Foibe di Castelnuovo d'Istria – "Sono state poi riadoperate - continua il rapporto del Cln - le foibe istriane, già usate nell'ottobre del 1943".
Cava di bauxite di Lindaro
Foiba di Sepec (Rozzo) 

Il conflitto nella ex-Jugoslavia fra serbi e croati, la guerra che ha per teatro la Bosnia, la durezza di una lotta che coinvolge donne, vecchi e bambini ha portato all'attenzione dei popoli europei e dei nostri connazionali certe caratteristiche degli slavi del sud.

Si è parlato di "pulizia etnica" e delle modalità con le quali i contendenti in causa intendono applicare questa politica al fine di risolvere radicalmente ogni problema di convivenza: attraverso il terrore, annientando l'avversario, annichilendo ogni sua volontà di contendere il predominio del paese costringendolo alla fuga.

Non sappiamo se, ed in che misura gli Italiani, alla mercé delle manipolazioni dei mass-media sempre strumentalizzati, abbiano avuto la possibilità di recepire il messaggio.

Gli slavi del Sud sono popolazioni che, a seguito di esperienze storiche traumatizzanti quali secoli di dominio ottomano, tre anni di guerriglia partigiana, decenni di regime marxista, sono portati a vivere ogni contesa di carattere religioso, politico, etnico, in maniera violenta e radicale, dove la brutalità e la crudeltà non conoscono confini. d'altra parte, questa, una realtà che avrebbe dovuto essere ben recepita dal nostro popolo perchè, nel corso dell'ultimo conflitto, almeno 400.000 soldati italiani si sono alternati come truppa di presidio in Jugoslavia ed hanno visto con i propri occhi cosa significasse la lotta tribale che tormentava quel paese: serbi contro croati, cattolici contro greco-ortodossi e mussulmani, partigiani comunisti contro cetnici realisti, ustascia e guardie bianche contro tutti, in un'orgia di stragi, torture, vendette, efferatezza. 

Ma in tutto questo, e torniamo a riferirci ai mass-media, non si poteva e doveva parlare per due ottimi motivi.  
Innanzitutto in Jugoslavia aveva trionfato il comunismo e sottolineare gli aspetti deteriori di un paese che aveva abbracciato questa fede voleva dire schierarsi e comportava un'alzata di scudi da parte delle sinistre. Era opportuno tacere per non essere accusati di fascismo ed incorrere nella riprovazione generale. Poi c'era un secondo eccellente motivo, e cioè che la fine del secondo conflitto mondiale aveva visto la Jugoslavia (Slovenia e Croazia si dovrebbe dire oggi) impadronirsi di tre province nelle quali la popolazione di lingua italiana era da sempre stata maggioritaria: quelle di Pola, Fiume, Zara. Questa occupazione, oltre a mutilare ingiustamente la Nazione, aveva comportato l'esodo di 350.000 nostri fratelli, e criticare la Jugoslavia significava fare del "revanschismo", disobbedire agli ordini e nuocere agli interessi degli Stati Uniti.

Sulla "pulizia etnica" come concepita dai nostri confinanti ad oriente, silenzio assoluto, come silenzio assoluto si doveva osservare sulla maniera spietata con la quale era stata praticata ai nostri danni.

Il termine "foibe" è stato così per cinquanta anni oggetto di una accurata rimozione, almeno negli ambienti ufficiali.

Sappiamo bene che questa rimozione non riguarda i nostri lettori, ma ci sia consentito di cogliere l'occasione per fare qualche precisazione.

Il termine "foiba", pozzo naturale che si riscontra con grande frequenza nel terreno carsico della provincia di Pola, è stato convenzionalmente usato a proposito di tutte le eliminazioni di carattere politico ed etnico effettuate nelle province orientali. In effetti le "foibe" riguardano solo una piccola parte delle 15.000 - 20.000 persone di cittadinanza e lingua italiana che sono state assassinate in quella zona dal 1943 al 1950. I dalmati, i fiumani, gran parte dei goriziani uccisi sono stati fatti sparire in mille ingegnosi modi che nulla hanno a che vedere con gli orridi carsici. Ciò non toglie che il termine "foibe" abbia assunto un significato particolare nella "pulizia etnica" effettuata a nostro danno ed abbia avuto un grandissimo rilievo nel terrorizzare, soggiogare, costringere alla fuga i nostri connazionali.

Si cominciò a parlare di "foibe" in Istria ed a Trieste nell'ottobre del 1943, quando l'offensiva tedesca permise di riprendere il controllo del territorio, restato per tre settimane alla mercé degli slavo-comunisti. Erano spariti da 1000 a 1500 nostri fratelli che erano stati prelevati dalle loro abitazioni e deportati. 
Spariti nel nulla? No! Ben presto si potè accertare che erano stati uccisi gettandoli nelle "foibe". Si procedette al recupero di quelli per i quali l'operazione era più facilmente effettuabile è tutti videro le salme già intaccate dal processo di putrefazione: uno spettacolo orrendo. Ma dalle indagini ed ancor più dalle autopsie si seppe come molti fossero morti dopo una crudele agonia, in quanto non erano state sufficienti nè le pallottole nè la caduta ad assicurare una rapida fine. Anzi si disse che, ad arte, spesso i morituri erano stati spinti a coppia nel baratro, dopo che una sola delle vittime aveva ricevuto il colpo d'arma da fuoco. Fu evidente che chi aveva organizzato la strage, l'aveva premeditata in maniera di colpire la fantasia della gente e renderla folle di terrore. Ovviamente fra gli scomparsi molti erano fascisti, ma molti erano solamente istriani di lingua, costumi, tradizioni, sentimenti italiani e la loro uccisione era la componente principale di un piano satanico.  

Una "pulizia etnica" studiata a tavolino e portata a compimento con la massima determinazione, ed un attento lettore dei fatti della Bosnia e dintorni, non può fare a meno di rilevare l'attualità di questa tecnica, nella quale sarebbe fuorviante far distinzione fra croati, serbi, bosniaci.  

All'appello mancano solo gli sloveni, ma anche di costoro, cinquanta anni fa, avemmo le prove della inclinazione a certe soluzioni radicali.

I nostri marxisti e gli epigoni degli stessi hanno sempre cercato di imporre il silenzio su questa dolorosissima pagina della nostra storia. Come hanno fatto? In molti casi negandola e, quando questa rimozione totale non era configurabile, si sono trincerati dietro la motivazione ufficiale accampata dagli sloveni e dai croati. Si è trattato, hanno sostenuto, di fatti sporadici frutto di una esasperazione popolare scatenatasi come reazione a venti anni di brutalità e violenze fasciste.

Con questa nota documentata intendiamo confutare questa tesi di comodo. I comunisti italiani giunsero alla "resistenza" ed agli anni quaranta attraverso un lungo tirocinio, forgiati da esperienze derivanti da trenta anni di lotte e tentativi rivoluzionari.

Dalla rivoluzione di ottobre del 1917, alla guerra di Spagna del 1936, si era sviluppata la teoria, collaudata poi con la pratica, che il potere popolare si poteva affermare ed imporre solo mediante l'eliminazione delle classi parassitarie. "E il sangue che fa girare le ruote della storia": ed era necessario annientare il nemico perchè il nuovo mondo si affermasse. 
Di questo orientamento avemmo le conseguenze anche in Italia. Durante i lunghi mesi della guerriglia partigiana, ovunque fu possibile, le formazioni comuniste procedettero alla eliminazione fisica dei nemici politici e di classe, al dì là di ogni cautela e finzione tattica. Quando si pervenne alla crudele primavera del 1945, accanto alle vendette private ed alle liquidazioni strascico di una guerra civile, numerosissime furono le uccisioni mirate ed aventi un carattere classista. Questo aspetto è universalmente accettato, con particolare riferimento a certe zone come la rossa Emilia, dove si protrassero clamorosamente anche nel 1946. I comunisti istriani, triestini, goriziani inquadrati nel P.C.I., non potevano logicamente avere una valutazione diversa dai compagni di Bologna, Modena, Vercelli, Novara ecc, ecc.

Irrilevante era per loro il fatto che in Istria i nemici di classe fossero italiani, considerando un pregiudizio senza peso qualsiasi problema di nazionalità.

Se i compagni croati e sloveni prendevano l'iniziativa della liquidazione dei borghesi, degli intellettuali, dei possidenti, si trattava di una iniziativa proletaria da appoggiare, perchè nella futura società, distinzioni di nazionalità non avrebbero avuto senso.

Trovare le prove di questa complicità non è facile anche se l'atteggiamento di costoro è già sufficientemente eloquente. Quando nell'autunno del 1946 fu chiaro che Gorizia e Monfalcone erano perdute per la loro causa, vi furono almeno 3000 comunisti italiani che passarono il confine: un esodo contro corrente rispetto a quello dei nostri 350.000 esuli.

Meglio la Jugoslavia marxista di Tito che l'Italia di De Gasperi, anche se gran parte dei 3000 rimpatriò furtivamente nel 1948 quando Tito venne cacciato dal mondo comunista.

Abbiamo però trovato una prova eloquente della approvazione dei comunisti italiani di Trieste all'operazione "foibe".

Nel 1979 l'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia "Istituto Gramsci" pubblicò i tre volumi "Le brigate Garibaldi nella Resistenza-Documenti" a cura di Claudio Pavone.

In circa 2000 pagine è documentata la vita delle formazioni partigiane comuniste attraverso testi ufficiali, lettere, relazioni, messaggi colleganti comandi divisionali, brigate, distaccamenti garibaldini. Un lavoro di grande impegno che dimostra l'ampiezza della partecipazione comunista alla Resistenza in Italia dal luglio 1943 alla fine maggio 1945. Non c'è dubbio che i documenti siano stati accuratamente selezionati affinché non finisse di pubblico dominio quanto si riteneva opportuno rimanesse riservato. Ma su 2000 pagine è sempre possibile incorrere in un errore! Ed ecco la perla sulle "foibe".

Prendiamo il 1° volume e leggiamo da pagina 179 a pagina 182, documento 41 datato (... ) dicembre 1943 ed intestato "Il comitato federale di Trieste del P.C.I. al comandante del battaglione "Trieste".  

Comincia con le parole: "Rispondiamo al rapporto del 21 dicembre 1943", e per tre pagine commenta le notizie ricevute, dà consigli, ordini, suggerisce, commenta. Ad un certo punto bisogna giudicare su una perplessità sorta fra i compagni del battaglione "Trieste" a proposito dei carabinieri di Villa Decani. Quei militi avevano dimostrato volontà di collaborazione. Era stato corretto accettarla? Ecco la risposta.

"Nel caso dei carabinieri di Villa Decani ben fatto, (omissis) non rinunciando con ciò alla tattica delle foibe" quando si scovano fuori fascisti responsabili di azioni contro la popolazione, ex dirigenti e responsabili del regime fascista dimostratisi particolarmente reazionari; dirigenti responsabili dell'attuale fascismo repubblicano, del governo del venduto Mussolini, membri della milizia e della Guardia Nazionale Repubblicana; collaboratori aperti, decisi ed attivi dei tedeschi, spie, ecc. ecc. La "tecnica delle foibe" e non "fatti sporadici frutto dell'esasperazione popolare......" come volevasi dimostrare. 

Il 30 marzo del 2004 veniva varata la legge n. 92 che disponeva che la Repubblica Italiana riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo”, una giornata finalizzata a “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.”

Per anni in Italia, al fine di tutelare i rapporti di buon vicinato con la ex Jugoslavia di Tito, si era volutamente dimenticato una feroce operazione di pulizia etnica, operata dai partigiani comunisti jugoslavi, ai danni degli italiani dell’Istria e della Dalmazia. Adesso, con quella legge, si tentava di fare ammenda del passato e rammemorare gli italiani

Ma cosa era successo, di tanto terribile, che gli italiani non potessero sapere? Agli abitanti della Penisola bisognava raccontare la storia di un genocidio del quale, loro fratelli, erano stati vittime e che aveva visto migliaia di istriani e dalmati gettati, ancora vivi, nelle cavità carsiche, chiamate foibe.

Gli infoibamenti, ad opera dei partigiani comunisti di Tito, ebbero inizio subito dopo l’8 settembre 1943. Nelle voragini carsiche finirono impiegati comunali, maestri di scuola, militari e appartenenti alle forze di polizia, ma in sostanza bastava essere italiani e dichiararsi innamorati della propria Patria, per finire i propri giorni in fondo a un pozzo. Gli italiani, dopo essere stati prelevati dalle proprie case, venivano condotti, legati a due a due col filo di ferro, sul ciglio delle voragini carsiche. Dopodichè, un colpo di pistola ad uno dei due, mentre l’altro avrebbe seguito il primo nel baratro trascinato dal peso del primo.

Con la nascita della Repubblica Sociale e con la ripresa del controllo italiano sulle terre del confine nord orientale, gli infoibamenti ebbero un arresto, per poi riprendere, immediatamente, con la fine del conflitto.

Il 1° maggio del ‘45, Trieste fu invasa dalle truppe titine. Nella Venezia Giulia il peggio stava ancora per cominciare.

L’occupazione sarebbe durata 40 lunghi giorni, nel corso dei quali l’Ozna – la polizia segreta -  e la la “Guardia del Popolo”, operarono centinaia di arresti arresti arbitrari, la gran parte dei quali si concluse con un colpo alla nuca o con infoibamenti collettivi.

Con la creazione del “Territorio libero di Trieste”, diviso in “Zona A” e “Zona B” (12 giugno 1945), gli Alleati costrinsero i titini a sloggiare. Per Trieste fu un giorno di festa; cominciava, invece, la lunga agonia della “Zona B” dalla quale sarebbero giunti a Trieste e in tutta Italia disperati messaggi di aiuto. Le grida di disperato dolore, furono inutili e inascoltate. Ne seguì un esodo che vide migliaia di italiani lasciare le terre natie, pur di non restare sotto il giogo comunista.

Perché ammazzare gli italiani? La risposta è una sola: fu un riuscito tentativo di pulizia etnica ai danni di chi aveva il tricolore nel cuore.

Si eliminavano fisicamente gli italiani più in vista in Istria e Dalmazia, per creare un’atmosfera di terrore e indurre tutti gli altri a lasciare quelle terre, oppure a rinunciare ad ogni sentimento di italianità.

C’è oggi chi ha la sfacciataggine di sostenere che quelle stragi furono la naturale reazione al giogo fascista che aveva tenuto, per anni, gli slavi di quelle terre sotto il tallone. E’ una bugia infame, non si spiegherebbero, altrimenti, il centinaio di sardi, in buona parte minatori del Sulcis trasferiti dall’Acai (Azienda Carboni italiana) di Carbonia ai pozzi della società Arsa in Istria, anch’essi infoibati. Cosa avevano a che fare quei minatori con i fascisti?

La pulizia etnica messa in atto dai titini raggiunse il suo scopo e migliaia di nostri compatrioti lasciarono le terre natie, pur di non restare vittime dell’oppressione comunista. Fu un disperato grido di amore verso Patria che spinse circa trecentocinquantamila italiani di Istria, Fiume e Dalmazia a lasciare i luoghi dell’infanzia e a scegliere l’Italia. Anche quando furono arrivati sulla Penisola, la Patria non li accolse come avrebbero meritato. Stipati su vagoni ferroviari furono considerati con un maggior onere da dover affrontare in un già difficile dopoguerra. E chi potrà mai dimenticare i loro treni che non furono fatti fermare alla stazione di Bologna, perché i ferrovieri li consideravano “fascisti” fuggiti dal “paradiso comunista”.

Quanti furono gli infoibati? E’una domanda alla quale è difficile rispondere. Le cifre, in merito, variano a seconda delle fonti. Gli Alleati, nell’immediato dopoguerra, presentarono un elenco di circa 3500 nomi, mentre per il CLN la lista superava i 13.000. Oggi, si fa riferimento, in maniera molto prudenziale, a un numero di 6.000/8.000 infoibati. Di almeno 6.300 di questi ci sono nomi e cognomi.

Qualche studioso riferisce di circa 20.000 italiani infoibati, dando al termine una valenza molto ampia e includendovi anche i fucilati, i deportati e poi morti nei campi di concentramento e gli affogati nell’Adriatico con le mani legate alla schiena e un peso al collo.

Quanti furono, forse non lo sapremo mai. L’unica importante Foiba rimasta in territorio italiano è quella di basovizza, mentre le restanti sono in territorio sloveno e croato, dove non è facile svolgere ricerche in merito.

Daniele Lembo 

Le Tre sorelle Radecchi (Albina 21 anni, Caterina di 19 e Fosca di 17)
Le Tre sorelle Radecchi (Albina 21 anni, Caterina di 19 e Fosca di 17)

finite nella foiba di Terli... La contemporanea uccisione delle sorelle Fosca, Caterina e Albina Radecchi (o Radecca) fece grande scalpore in zona, e tuttora è ricordato come esempio della particolare efferatezza della vicenda degli infoibamenti... Le sorelle Radecchi lavoravano in una fabbrica di Pola, ed ogni sera - al ritorno dal lavoro - si soffermavano a parlare con alcuni militari del vicino distaccamento di Fortuna, nei pressi di Altura, dove erano di base alcuni reparti della Regia Aeronautica. Questa frequentazione pare possa essere la motivazione dell'arresto da parte dei partigiani... L'arresto ebbe luogo nei giorni immediatamente successivi all'8 settembre 1943: le sorelle vennero prelevate di notte da casa loro e trasportate a Barbana, ove vennero impiegate come sguattere. In questo periodo vennero violentate varie volte, fino a quando si decise la loro eliminazione. Secondo le ricostruzioni, fra il 2 e il 5 ottobre (giorno dell'uccisione) esse vennero nuovamente violentate e seviziate dai loro carcerieri. A riprova di ciò, la relazione del maresciallo Harzarich segnala che il corpo di Albina venne recuperato senza indumenti intimi, mentre quelli delle altre due erano strappati... Il corpo di Albina venne ritrovato con una ferita da arma da fuoco alla testa, a differenza delle due sorelle minori che invece presentavano unicamente varie fratture al cranio, il che lascia intendere che furono gettate nella foiba ancora vive. I responsabili Non essendo mai stata effettuata una ricerca specifica sulla foiba di Terli e non essendo mai stato aperto un procedimento giudiziario per individuare i responsabili dell'azione, i nomi di questi ultimi rimangono legati solamente ad alcune testimonianze dirette o indirette... L'unico personaggio che viene regolarmente citato come capo dei partigiani della zona di Barbana all'epoca, e di conseguenza indiziato come principale responsabile degli omicidi, è un certo Ivan Kolić (Giovanni Colich) di Barbana. Questi veniva denominato el gobo (il gobbo) a causa di una sua imperfezione fisica, ed è ricordato per la sua ferocia. Le sorti del Kolić sono ignote. 4 novembre 1943: accanto alla foiba di Terli vengono ricomposti i corpi di Albina Radecchi (A), Caterina Radecchi (B), Fosca Radecchi (C) e Amalia Ardossi 

IL CUORE NEL POZZO ... ALTRA "SCOMODA" VERITÀ !!

La fiction venne trasmessa in Italia su Rai 1 il 6 ed il 7 febbraio 2005 in due puntate.  Era la prima volta che la TV di stato ...